(da “L’UOMO CHE PARLAVA CON LE MOTO” di Franco Antonelli – Settembre 1999 – Ed. FBA, Firenze )
…Spiegò come la pulizia del Falcone fosse un’operazione particolare, somigliante molto a un rito religioso.
…Il Forteguerri aveva sistemato il Falcone fuori dal garage, in una piccola corte e preparato tutto l’occorrente: una stagnina di gasolio, tre sacchetti di nylon, shampoo, pasta abrasiva e stracci a volontà.
Mise un troppolo di legno sotto il motore in modo che entrambe le ruote potessero girare e per prima cosa rinvolse il carburatore ed il magnete con due sacchetti di plastica, fermandone l’estremità con mollette da panni. Poi con le forbici tagliò il terzo sacchetto in strisce belle grandi e ricoprì tutta la catena ch’era già ingrassata. Solo a questo punto versò in una vecchia ma pulitissima catinella un quartino di gasolio e con un pennellone consumato si dette a strofinare tutto il Falcone, abbondantemente.
Oltre all’azione diluente del gasolio, effettuava un’azione meccanica stropicciando con il pennello nei punti più difficili dove la morchia s’era rappresa, in special modo nella parte bassa del telaio e vicino al perno del forcellone.
Quando ebbe cosparsa tutta la moto di gasolio, passò alla canna dell’acqua da cui fece uscire una minima quantità.
Con pignoleria estrema ripassò tutto il Falcone con quel pisciolino d’acqua che gli consentiva di vedere l’effetto detergente e di rispennellare di gasolio nei punti dove questo aveva pulito in minor misura. L’acqua allontanava il diluente piano piano dissolvendolo in mille fluenti colori, belli anche se di natura idrocarbura.
Prese quindi un secchio con shampoo abbondante ed acqua e spugna.
Ne cosparse tutto il Falcone con dovizia e si vide finalmente il Rosso Guzzi venir fuori da quella bianchissima e quasi solida schiuma.
Desistette solo quando le dita, non trovando più grasso sulle superfici, cominciarono a saltellare, grippando e facendo quel caratteristico rumore che ben conosce chi è assuefatto a lavare i piatti. Quindi riprese il tubo dell’acqua ed ancora dette pochissima apertura al rubinetto e mandò via tutta la schiuma con calma maniacale.
E poi cenci e cenci, tra i raggi, tra i fili, sotto la sella, tra i tubetti dell’olio, tra le alette del motore, infilati con un legnetto di bussolo sottile e resistente.
Sotto il carburatore, sul cilindro, c’era una rossa macchia di super.
L’alluminio poroso della testata muscolosa aveva ritenuto aloni scuri, non di trafilagli, ma di vapori d’olio, che con il passare degli anni s’erano sedimentati.
Valdemaro osservava il lavoro ed era entusiasta del Falcone così pulito e preparato in grande spolvero, ma il padre si diresse verso il garage e tornò con una scura bottiglia con su scritto “Creolina”. Ne dette con il pennello a tutto il motore rendendolo marrone ed arabesco, poi con un panno ne cosparse anche i Borrani. Aspettò cinque minuti e risciacquò.
Con l’acqua il liquido marrone virava al color del latte spellando via dall’alluminio ogni traccia di sudicio e riportandolo allo splendore del nuovo di fonderia.
Asciugò tutto meticolosamente e prese il bussolotto della pasta abrasiva; stropicciò ben bene i Borrani e gli ammortizzatori a compasso facendosi le mani nere come un carbonaio. Poi con lo straccio più banco di cui disponesse pulimentò e portò via i residui e lucidò a specchio.
Tolse le protezioni alla catena, al magnete e al carburatore, osservò tutta l’opera e rientrò in garage.
Tornò con un piccolo bussolotto di vernice nera ed un pennellino; ne dette leggere leccate a due raggi della ruota anteriore che lasciavano affacciare bricioli di ruggine. Infine passò con un ingrassatore tutti i punti previsti.
“Vai, ora è pronto, ora puoi andare. Le moto vecchie sono come le donne di una certa età: devono essere sempre in ordine, pulite e profumate”.
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